Il 1° marzo del 1975 il giornale locale ‘O Passaro’ di Barra do Corda (Brasile nord-est) salutava il gruppo appena arrivato delle quattro missionarie Cappuccine [sr. Guglielmina Locatelli, sr. Teresa Cattaneo, sr. Luisa Civillini e sr. Francesca Scandella, accompagnate da sr. Romana Villa, Madre generale, e sr. Attilia Ré, Consigliera generale,

n.d.A.]:
«(…) Provenienti dall’Italia, sono giunte l’altro giorno quattro Suore che risiederanno ad Alto Alegre, appartenente a questo municipio. Sono passati 74 anni dal tragico massacro avvenuto in quel luogo, quando Padri e Suore morirono a causa degli indi (…) L’ammirazione per lo spirito di fraternità, di rinuncia e di bontà di queste religiose, lascia il posto ad un grande esempio di umanità per tutti coloro che le vedranno in quel loro convento, dove resteranno lontano dalla loro Patria e dai loro cari (…)».
I primi giorni dell’arrivo (marzo del 1975) sono stati narrati da Madre Romana ripensando all’episodio della perfetta letizia di san Francesco:
«Poesia e prosa sono due forme che, completandosi a vicenda, esprimono elegantemente il vivere e il pensare. La poesia del ritorno ad Alto Alegre ha bisogno della prosa perché l’espressione sia completa, secondo l’uso delle opere di Dio. A venti giorni dall’arrivo la febbre del Mearin sta scaldando il povero ’frate asino’ di una delle missionarie. Con le limitate possibilità abbiamo tentato di vincere il male, ma al decimo giorno si decide di portarla al vicino ospedale di Grajaù. 70 km non sono molti, l’ostacolo più grande sono gli 11 km di stradicciola nella selva che separano la Missione dalla strada statale.
Partiamo con la vecchia jeep della Missione. La macchina s’inoltra saltando, barcollando, schizzando acqua, lasciando nel fango le sue gagliarde impronte. La vegetazione tagliata dalla strada è fittissima, non molto alta: un muro verde. Vi si scorgono foglie bellissime, i rami entrano nella jeep accarezzandoci le braccia con una certa violenza. Aggrappate saldamente all’ossatura della macchina, teniamo stretta l’ammalata per proteggerla dai colpi. 5 km sono già passati ma, ad un salto più forte il motore si ferma. Scendiamo, facciamo sedere l’ammalata in terra, e diamo tutti una mano alla povera jeep. Avanti e indietro…il motore non attacca. In compenso dobbiamo spesso liberare un sandalo che attacca nel fondo delle pozzanghere! L’acqua fangosa ci ha disegnato sulle gambe stivaletti su misura, assai più pratici per queste strade! Un momento di sosta…colgo un bel ramo per ripararmi dal sole che scotta assai, un ramo maestoso con avvinghiato un rampicante, me lo sventolo sopra il capo ma,…tutto il braccio incomincia a pizzicare stranamente…si trattava di un erba simile alle ortiche! Qualcuno torna alla Missione a piedi per prendere una batteria: dovremo attendere 2 o 3 ore. Saliamo sulla macchina tutta ricoperta di rami per non cuocere a fuoco lento. Passano le ore. Un po’ di lotta con gli insetti…finalmente arriva un mulo con un giovane della Missione che ci porta qualcosa da mettere sotto i denti. Com’è tutto buono quando l’aperitivo è fatto di attesa! Un’altra ora e arriva il Padre con la batteria, cavalcando un mulo. Quanto ci rallegra la sua vista! Pochi minuti, la batteria è a posto ma la jeep non parte, non ha pietà di noi (o noi non abbiamo pietà di lei?). Ci guardiamo un po’ interrogandoci a vicenda: “Torniamo indietro?”. Poi facciamo montare l’ammalata sul mulo e noi seguiamo a piedi. Pochi passi e si alza un temporale di quelli!!! Volano le foglie e poi giù acqua e acqua. Una buona doccia dopo il sole non è poi tanto sgradevole ma…l’ammalata? Dall’alto del mulo, con in testa un asciugamano, inzuppata come noi fino alle ossa, ci guarda e ha ancora abbastanza forza per sorridere. Noi intanto lottiamo col fango e con l’acqua che copre gran parte del cammino. Pensiamo a san Francesco, alla sua predica della perfetta letizia…il missionario sa che i suoi passi devono essere segnati dalla fatica e sostenuti da tanta fiducia in Dio. Sappiamo però che alla Missione ci accoglieranno amorevolmente e non incontreremo ‘il bastone nocchieruto’ descritto da san Francesco.
Alle 17:00 rientriamo ad Alto Alegre, dopo nove ore dalla partenza.
L’acqua è entrata in casa dalle finestre e dal tetto e ha bagnato parecchi letti, oltre il resto. A stento racimoliamo panni asciutti per tutte. Le coperte questa sera servono tutte per l’ammalata a cui sta risalendo la febbre. “Scrivi frate Leone: questa è perfetta letizia!”…mancava solo ‘il bastone nocchieruto’, ma il Signore ce l’ha risparmiato: il grosso albero caduto che ha interrotto la strada ha aspettato che…noi fossimo passate! Andiamo a dormire: domani sarà un altro giorno e tornerà il sole a giocare sopra il mare verde che ci circonda. Sotto il nostro tetto c’è un grande sole: Gesù nel tabernacolo è il nostro sole, il grande Amore della nostra vita».